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Issue n. 24 | Lia Rumma intervistata da Lorenzo Giusti

26 Ottobre 2018 Artissima Stories

Lorenzo Giusti: Un ponte tra Torino, la Campania e… il mondo! Quest’anno cadono i cinquant’anni di Amalfi ’68 e si sta celebrando l’anniversario di una mostra – Arte Povera + Azioni povere – che è stata considerata tra le più importanti del XX secolo… (catalogo Phaidon Press)

Lia Rumma: Devi sapere, però, che questa rassegna non è l’unico progetto che viene realizzato negli Antichi Arsenali da Marcello Rumma ma è stata preceduta da due mostre importanti curate da Renato Barilli (Aspetti del “Ritorno alle cose stesse”, 1966) e Alberto Boatto con Filiberto Menna (L’Impatto Percettivo, 1967): segnavano l’inizio di un sodalizio straordinario tra Marcello e Giuseppe Liuccio, presidente dell’Azienda di Soggiorno e Turismo di Amalfi, il quale metteva a completa disposizione di Rumma gli Arsenali di Amalfi. Marcello, da persona illuminata quale era, voleva che nel sud ci fosse cultura. Nel 1969 fonda la casa editrice Rumma Editore e pubblica testi di Arte, Estetica e Filosofia.

Da giovanissimi collezionisti quali eravamo, presi dalla curiosità e dal desiderio di conoscere quanto stava accadendo in arte nel mondo e sotto i nostri occhi, cominciammo a viaggiare, a prendere contatti con critici e curatori tra i più noti del momento quali Germano Celant, Alberto Boatto, Filiberto Menna, Renato Barilli, Achille Bonito Oliva eccetera, e a frequentare le migliori gallerie del momento: Gian Enzo Sperone a Torino, de’ Foscherari a Bologna, Sargentini a Roma, Ileana Sonnabend a Parigi. Entriamo in contatto con un gruppo di artisti emergenti tra Torino e Roma (Michelangelo Pistoletto, Giovanni Anselmo, Gilberto Zorio, Piero Gilardi, Giulio Paolini, Giovanni Piacentino, Jannis Kounellis, Pino Pascali, Alighiero Boetti, Mario Ceroli, Mario Merz e altri) con i quali si stabiliscono subito rapporti professionali e affettuosi. Marcello comprende che sta accadendo qualcosa di nuovo in Italia, apre un dialogo con Germano Celant e gli chiede la curatela della mostra ad Amalfi nel ’68, rassegna con cui il movimento si compatta, varca i confini nazionali e si accredita a livello internazionale. E da quel momento agli artisti dell’Arte Povera si aprono le porte dei musei più prestigiosi nel mondo. Oggi si sta studiando il mio archivio e in occasione dell’omaggio fatto ad Amalfi ’68, ho donato al Castello di Rivoli una serie di documenti e fotografie, molte delle quali inedite. Anche il museo di Philadelphia in sinergia con il museo di Rivoli sta preparando una mostra sull’evento di Amalfi in memoria di Marcello Rumma, e a ottobre 2019 il Museo Madre realizzerà un progetto su Marcello Rumma a cura di Gabriele Guercio e Andrea Viliani. Celant curerà una monografia su Marcello Rumma.

LG: Hai qualche particolare ricordo di quella stagione?

Amalfi ’68 è ritenuta particolarmente importante e indimenticabile non solo per aver messo a fuoco tempestivamente uno dei più importanti movimenti artistici degli ultimi cinquant’anni ma per quell’atmosfera di libertà e gioia con cui gli artisti crearono le proprie opere e quello speciale sodalizio tra loro che non si sarebbe mai più ripetuto. Nel giugno del ’68 la Biennale di Venezia veniva contestata dagli artisti perché considerata troppo ingessata. A ottobre ’68 ad Amalfi gli artisti coinvolti nella rassegna venivamo invitati a creare e realizzare le proprie opere in piena e totale libertà. Pistoletto trascina per i vicoli di Amalfi L’uomo ammaestrato con tutta la sua corte, Anne Marie Boetti abbandona una zattera di polistirolo tra le onde del mare, Pietro Lista nasconde, a notte inoltrata, la luce di un neon sotto la sabbia della spiaggia, Anne Marie Boetti e Ableo improvvisano un concertino di flauto, a piedi nudi sulla spiaggia di Amalfi. Insomma accadono cose straordinarie, tutti partecipano a questo speciale evento, gli artisti si aiutano l’uno con l’altro, i bambini giocano a nascondino sotto la Vedova Blu di Pascali e gli artisti invadono il Giardino all’italiana di Gino Marotta. Infine, questo momento di gioia e creatività esplode in una famosa partita di pallone: viene disegnato sui muri degli Arsenali un campo di calcio e Paolo Icaro, Richard Long, Emilio Prini, Ger van Elk e altri si contendono il pallone con la grinta dei grandi giocatori.

LG: Hai iniziato a Napoli nei primi anni ’70. Com’era allora la città?

LR: Negli anni ’70 Napoli era ancora molto legata all’eredità della grande Storia del Seicento, Settecento, Ottocento. Quando aprii la galleria mi sentivo come una navetta spaziale approdata in un deserto, anche se si avvertivano già’ i segnali di qualcosa che stava cambiando. L’attività di Marcello Rumma stava dando i suoi frutti e aveva aperto una breccia nella storia e le nostre gallerie (il Centro, quelle di Lucio Amelio e Morra, la mia e altre…) si dettero la mano a sostenere con decisione quel processo di modernizzazione che avrebbe ben presto portato Napoli a misurarsi con le grandi capitali internazionali.

LG: Torino era diversa?

LR: Torino, grazie a gallerie quali quelle di Gian Enzo Sperone o Christian Stein, aveva già da tempo iniziato un interessante discorso di Avanguardia. Io e Marcello la frequentavamo spesso con l’intesa di creare un  ponte tra il Nord e il Sud. Piero Gilardi girava il mondo e ci inviava informazioni preziosissime di quanto in quegli anni stava accadendo in Europa e America. Il sodalizio tra Germano Celant e Marcello si andava sempre più consolidando e i rapporti con gli artisti diventavano sempre più intensi e quotidiani. Eravamo pronti per Amalfi ’68. Torino è stata una tappa importante per quello che Marcello ed io volevamo realizzare. Una città vivace, attenta a quanto stava accadendo, sede di artisti molto importanti e di collezionisti di grande rilievo.

LG: Quanta importanza ha una manifestazione come Artissima per una città come Torino e per l’Italia?

LR: L’idea di creare una fiera d’arte a Torino è stata molto importante. Torino è sempre stata una città ricettiva e Artissima ne ha sicuramente allargato i confini. Le fiere d’arte, se sono bene organizzate, sono utili a stimolare scambi internazionali, a mostrare i nostri artisti a collezionisti stranieri e a costruire rapporti con le altre gallerie. Sicuramente Artissima ha sempre risposto bene al proprio compito; sono anni che noi partecipiamo e ci ha lasciato sempre molto soddisfatti.

LG: Hai sempre spinto gli artisti a lavorare sulle città. L’arte scaturisce dai luoghi?

LR: Da dove “scaturisce” l’arte… resta un mistero! Noi galleristi abbiamo spesso la fortuna di lavorare con grandi artisti ed io ho sempre pensato che doveva rimanere una traccia del loro passaggio nella città in cui venivano da me invitati. Sicuramente una città come Napoli, con la sua “irritante” bellezza e la sua grande storia è stata uno stimolo per molti artisti tra cui William Kentridge, il quale ha voluto lasciare un segno permanente della sua arte nella bellissima stazione della metropolitana di Toledo (definita come la più bella d’Europa). Non sono da meno però Milano (città che oggi si vanta di possedere una delle più straordinarie opere di Anselm Kiefer I Sette Palazzi Celesti che ha dato vita a un nuovo museo, Hangar Bicocca, visitato oggi da un vasto pubblico internazionale) o Roma di cui Kentridge ha narrato la grande storia, tra trionfi e sconfitte, affidandola ai muri che scorrono lungo il Tevere.

LG: Un gallerista è prima di tutto un collezionista?

LR: Io lo sono! Credo in ciò che faccio e acquisendo anch’io parte delle opere che consiglio ai miei collezionisti sono certa di ritrovarmi nel tempo dei tesori, come è già accaduto nella mia vita e… anche più di una volta.

LG: Quest’anno Artissima compie venticinque anni, com’è la tua esperienza della fiera e come vedi il suo futuro?

LR: Il destino di Artissima, che ritengo un’ottima fiera, non dipende solo da se stesso: tutta la nostra imprenditoria ha a che fare e si confronta con la situazione attuale dell’Italia, politica, economica e soprattutto culturale. Stiamo vivendo tempi molto incerti, confusi e culturalmente depressi, condizioni non certo idonee a farci pensare in modo ottimistico. La dove non c’è cultura, evoluzione e formazione, è difficile prevedere investimenti di grandi aziende che portano lavoro e benessere. Tutti noi facciamo sforzi sovrumani per portare avanti il nostro lavoro. Sicuramente Artissima è tra le fiere più attrezzate oggi in Italia e in grado di portarci anche un buon pubblico internazionale. Ci auguriamo tutti che viva a lungo e con buona salute. Noi ne abbiamo bisogno.

LG: Hai qualche ricordo in particolare legato ad Artissima?

LR: Io allestisco sempre fino a tarda notte e ricordo con grande piacere la figura di un architetto, Laura Vincenti che ad Artissima perorava la mia causa per farmi lavorare il più a lungo possibile. Era sempre una lotta con i guardiani!

Un po’ più di elasticità per noi galleristi, che arriviamo sempre all’ultimo minuto (almeno io!) con l’acqua alla gola: una maggiore comprensione significa aiutarci a realizzare bene il nostro stand e quindi gratificare anche la fiera.

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