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#ArtissimaLive – Amos’ World: Episode One (Cécile B. Evans) – Intervista a Marianna Vecellio

5 Novembre 2017 #ArtissimaLive

Su KABUL magazine, per #ArtissimaLive, un’intervista a Marianna Vecellio curatrice della mostra Amos’ World: Episode One (2017) di Cécile B. Evans al Castello di Rivoli.

Dal premio illy Present Future alla personale al Castello di Rivoli: il digitale perturbante di Cécile B. Evans.

Marianna Vecellio è la curatrice della mostra Amos’ World: Episode One (2017) di Cécile B. Evans (1983), l’artista statunitense vincitrice, con l’opera What the Heart Wants (2016), della XVI edizione del premio illy Present Future. Sin dalla sua istituzione, il premio ha avuto come scopo quello di dare visibilità ai giovani artisti presentati dalle gallerie ad Artissima, appunto nella sezione ‘Present Future’, dedicata ai talenti emergenti, che ogni anno propone una lunga serie di piccole personali esposte dalle gallerie di tutto il mondo. A partire dal 2012, il vincitore del premio ha l’opportunità di esibire le proprie opere in una mostra al Castello di Rivoli – Torino.

Amos’ World: Episode One (2017) è un’opera ambiziosa e, come sostiene Vecellio, è un «‘super congegno’ – un collage di tecniche e stili, di rendering digitali, dialoghi, citazioni e immagini d’archivio, tecniche di animazione 2D e 3D e musiche», un’installazione video architettonica concepita come uno spettacolo televisivo diviso in episodi, un set immaginario che «ricorda l’architettura brutalista in cemento, e richiama le utopie radicali comunitarie di Le Corbusier e Peter Smithson, che nell’opera alludono alle nuove comunità digitali della rete».

Di seguito l’intervista alla curatrice della mostra inaugurata al Castello di Rivoli nella settimana di Artissima.

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Simona Squadrito: L’anno scorso Cécile B. Evans vinceva il premio illy Present Future con What the Heart Wants (2016), un’opera in cui l’artista riflette sul presente, tratteggiando un’immagine fantascientifica, forse non troppo distante, di un ipotetico futuro ancora dominato dalle tecnologie. In What the Heart Wants i soggetti rappresentati, al contrario di ciò che avviene in molte narrazioni distopiche, non sono tanto delle vittime impotenti ma soggetti attivi che attraverso il loro stile di vita mettono in atto delle vie d’uscita dalla distopia di un mondo ipertecnologico, e questo non attraverso il rifiuto di tali tecnologie, ma mediante un modo di rapportarsi e vivere in esse, creando un universo in cui i sentimenti e il desiderio sono gli strumenti principali per sopravvivere e dialogare con e attraverso il mondo virtuale. Il video si rivela sì un omaggio al progresso tecnologico, ma soprattutto alla capacità e alla necessità dell’essere umano di sentire e amare.

 

Marianna Vecellio: Occorre a mio avviso fare una precisazione: gli artisti cosiddetti digital native non sono interessati a esprimere un conflitto con le tecnologie moderne, piuttosto desiderano esplorarne le potenzialità. Sono cresciuti con la tecnologia e la abitano. Hanno sviluppato un vocabolario linguistico che incorpora l’ibridazione a favore di un nuovo modo di sentire, di provare emozioni, di fare esperienza e pertanto anche di innamorarsi. Forse è per questa ragione che paiono manifestare una sorta di ossessione nei confronti del ‘tempo’. Ho notato che molti degli artisti cosiddetti post-digital come Ed Atkins, Rachel Rose e Cécile B. Evans per esempio offrono al ‘tempo’ – inteso non solo come concetto filosofico ma piuttosto come dimensione fisica metereologica – molto spazio creativo. Ricordo la poesia che apriva la pubblicazione di Ed Atkins e sui cui ha impostato alcuni suoi lavori, The Morning Roundup di Gilbert Sorrentino che diceva «I don’t want to hear any news on the radio about the weather on the weekend», e poi aggiunge «… the weather they lived in… the sun of those Saturday». Sentire il tempo ci aiuta a percepire il nostro corpo: è una sorta di fenomenologia dell’essere quotidiano, e in una dimensione ibridata il quotidiano, le abitudini, il nostro corpo, diventano modi per stabilire una relazione con il mondo, di farci sentire che esistiamo, come diceva Merleau-Ponty. Anche l’opera di Rachel Rose, A Minute Ago, apriva con la sequenza di una grandinata. Sentire il tempo equivale a sentire il vissuto. Nell’opera Amos’ World, il tempo metereologico è addirittura la voce di una donna che conversa con il protagonista: una sorta di voce interiore che amorevolmente accompagna il personaggio di Amos nelle sue riflessioni e lo porta a ragionare, gli mostra la realtà, conducendo lo spettatore a scoprire gli aspetti più umani di questo personaggio. In qualche modo è il tempo a conferire ad Amos la sua umanità.

 

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